Lavami

  • 2010

Proiezione laser della scritta “lavami” sulla cupola di S. Pietro

Roma, venerdi 5 novembre 2010, ore 22.00

La scritta “Lavami” si compone in grande, lettera dopo lettera, sulla cupola della basilica di S. Pietro a Roma, come quelle proiezioni luminose che nel cielo notturno di Gotham City annunciavano l’arrivo di Batman. “Lavami” è un graffito di luce simile a quelli disegnati con le dita sui vetri sporchi delle auto in sosta. Un graffito virtuale che proiettato su uno dei simboli più universali e più contraddittori del nostro immaginario collettivo è un invito all’istituzione che rappresenta a manifestare il suo volto accogliente e profetico piuttosto che quello temporale e opportunistico che troppo spesso la contraddistingue nelle sue prese di posizione caratterizzate da una doppia morale: una per il principe e un’altra per i sudditi. Un intervento, questo di Iginio De Luca, che usa i codici della Street Art: la velocità, l’irruzione, la notte e li riconduce alle origini delle avanguardie storiche, performance e spirito del cabaret, ad esempio, mescolando, come accadeva in quelle origini soprattutto dada, sensibilità sociale e ironia.
Dopo azioni di Guerrilla Advertising sui cartelloni elettorali, De Luca, citando solo gli interventi più recenti, ha proiettato in vari punti di Roma l’immagine del pontefice con la veste bianca macchiata, e prima ancora ha fatto volare uno striscione pubblicitario con la scritta “Silvio c’hai rotto li gommoni” , trascinata da un piccolo aereo lungo la costa laziale, popolata dalle folle estive al mare. I metodi della pubblicità più vernacolare, come quella dell’aereo, si uniscono a linguaggi pubblicitari metropolitani come le gigantografie e le scritte che, a loro volta, richiamano per la scelta di luoghi scenograficamente importanti una sensibilità neo-barocca.
La performance, l’installazione urbana effimera che ricordano in senso generale le grammatiche della Public Art e della della Street Art sono infatti solo alcuni degli ingredienti di queste incursioni di De Luca che tendono ad illuminare pezzi di cronaca incisivi sulla realtà profonda del nostro essere società ma che rischiano di sciogliersi rapidamente nel racconto dell’informazione mainstream. L’installazione, al contrario, pur nella sua qualità di incursione veloce, rimette al centro del discorso il problema che sta sfuggendo all’attenzione pubblica, vuole ricreare un nuovo spazio pubblico stimolando una
sensibilità condivisa intorno ad un problema comune.
Una serie di operazioni, quindi, che spostano la natura del graffitismo dalla dimensione più “privata” e neotribale legata ad un territorio di appartenenza – la strada, il quartiere, il ghetto – ad un’altra dimensione che è insieme più “pubblica” e metaterritoriale perché vuole attivare una comunicazione d’impatto estetico, dislocata su più piattaforme espressive: il luogo fisico, i giornali, le reti che sono ulteriori “materiali” a disposizione per la costruzione concreta dell’artefatto dell’arte contemporanea. Infatti gli interventi di De Luca non appartengono allo sfogo individuale, originariamente clandestino del graffitismo ma alla chiara presa di posizione personale e/o di gruppo che richiama l’esigenza propria delle origini delle avanguardie moderne e cioè quella di essere “realisti” ovvero usare i “materiali” reali e virtuali della contemporaneità per produrre una nuova dimensione dell’essere società, stando ben piantati nel proprio tempo, spesso con ironia, sempre con vigilanza critica: da qui il suo ironico ed icastico “J’accuse”.
Franco Speroni